lunedì 14 aprile 2014

Pappardelle al sugo di cinghiale...un primo da neopatentati

La mia passione per la cucina nasce dall' infanzia. Sono cresciuto in una famiglia felice; e non parlo solo della mia famiglia di origine, quanto, piuttosto, di un contesto allargato, che comprendeva anche i nonni. Tutti i maschi della famiglia Clemente hanno sempre cucinato. Ed anche bene. La pasta fresca era, però, un must di nonno Giovanni. La preparava il sabato, mi telefonava ed io, da nipote ubbidiente, la domenica ero seduto alla sua sinistra, come da tradizione. Crescendo, poi, ed iniziando ad uscire con gli amici, capitava spesso di passare le nostre serate a cena fuori. Soprattutto quando, ormai maggiorenni e neopatentati, potevamo spostarci con maggiore facilità. Il vincolo più grande, però, era un altro: la disponibilità economica. Così, tra l'ultimo anno di scuole superiori e la laurea, uno delle destinazioni maggiormente di moda era Ariccia. Agli abitanti fuori dal raccordo dirà poco. Trattasi di una ridente cittadina sui castelli romani, a meno di 5 km da Castel Gandolfo, dove il papa benemerito Benedetto XVI sta trascorrendo la sua "pensione" da Vescovo di Roma. Questa località è famosa per una caratteristica ben precisa: le fraschette, ovvero Osterie tipicamente romane. Il nome ha origini antichissime. Affonda le radici, infatti, nel Medioevo, quando i cacciatori spesso trovavano ristoro in osterie di Frascata (odierna Frascati). In questi luoghi si trovavano e si trovavano ancora, piatti tipici romani, ma anche di cacciagione. Luoghi spartani ma di cucina genuina, per di più a conduzione familiare. Il menù tipico è composto da antipasti misti (salsicce secche, coppiette, salumi), pappardelle al cinghiale e l'immancabile porchetta con pane dei castelli e romanella, un vino rosso leggero e frizzante che annava giù dar gargarozzo (la gola) che era na bellezza. Ecco, per terminare la definizione di questo contesto mancano due cose. Primo: nelle fraschette c'è una tradizione. Il padrone, di solito cacciatore panciuto dall'immancabile pantalone camouflage e pile verde militare (in ogni stagione), a turno, per tastare con mano la customer satisfaction, ama unirsi ai vari convivi per qualche minuto. Nella nostra fraschetta di riferimento, il gestore/cacciatore era un uomo veramente truce e rude, tanto che con i miei amici avevamo sempre il dubbio sulle modalità di cattura del cinghiale: tradizionale fucile da caccia oppure, ed io puntavo sempre forte su questa tesi, soffocamento. Ultima cosa per farvi rivivere l'atmosfera che vivevamo noi 15 anni fa era una tipica canzone romana, eccola nella versione del reuccio della canzone, Claudio Villa. La settimana scorsa, la mia collega Giulia mi ha regalato 6 uova che mi ero ripromesso di impiegare in pasta fresca. Il giorno dopo, poi, nella mia macelleria di fiducia ho visto una bella polpa di cinghiale ed ho subito deciso di riproporre le pappardelle, per rivivere quelle emozioni e per condividere con voi tutti una delle tradizioni più antiche della mia regione perché credo che l'Italia sia e debba essere unica (capito venetiiii e leghisti) ma che l'unicità non debba essere coniugata come univocità, quanto invece come il minimo comun denominatore di un sottostante di tradizioni, usi e costumi che costituiscano la vera ricchezza del nostro Paese. Per tutti questi motivi, ecco le mie Pappardelle al Cinghiale.
























Ingredienti per 4 persone:

  1. 600 g di semola di grano duro;
  2. 90 g tuorlo (nel mio caso 6);
  3. 360 g di uova intere (nel mio caso 6);
  4. 370 g polpa di prosciutto di cinghiale;
  5. 1,4 l di passata di pomodoro;
  6. olio qb;
  7. sale qb


Per la ricetta di oggi ho introdotto alcune innovazioni, rispetto ad ingredienti ed alla preparazione della pasta fresca.

Prima innovazione. Approfondendo il tema della pasta fresca, ho letto e sentito che in base al formato, va prediletto un tipo di farina e di uovo (intero/solo tuorlo).

Il tuorlo dona maggior sapore e setosità alla pasta, mentre l'albume conferisce elasticità. Per formati ripieni è meglio impiegare farina di grano tenero (tipo 0) e uova intere, mentre per la pasta lunga è meglio il grano duro (semola) ed un mix di tuorli (la maggioranza) e uova intere.

Ovviamente, all'interno di questi macro-insiemi, tutte le intersezioni sono possibili. Perchè ragazzi, non smetterò mai di ripeterlo: bisogna provare fino ad arrivare alla propria versione soddisfazione. Ed una volta raggiunta, continuare perchè si può sempre migliorare.

La mia scelta per le pappardelle è stata di partire dalle uova, tutte e sei. Faccio una pasta lunga quindi ho bisogno di elasticità perchè non si rompa, ma anche di gusto, visto il condimento, ergo: 3 tuorli e 3 uova intere. 

Non è importante il numero di uova, soprattutto ora che ne esistono diversi formati. Il mio consiglio è di fare diverse prove, pesando ogni volta tuorli e uova intere, di sbatterli e, quando avrete raggiunto il vostro optimum di prenderlo come riferimento e di ragionare in % di peso rispetto alla farina. Esempio: se utilizzate 3 tuorli per un totale di 100 g su 200 g di farina di semola, allora la vostra indicazione sarà di indicare il peso delle uova come 50% rispetto alla farina. Vi aiuterà a confrontare le ricette.

Quanta farina? Ecco la seconda innovazione: "quanta se ne prende", diceva mia nonna. Secondo le regole tradizionali sarebbero 600 g. Ma anche su questo tema, dipende dalla capacità di assorbimento della farina utilizzata, quindi dovete regolarvi sulla consistenza. Io ho utilizzato tutta farina di semola rimacinate ed ho proceduto con l'impastatrice.



Procedimento. Sbattete uova e tuorli ed uniteli nella bowl dell'impastrice insieme a parte della farina. Azionate con il gancio a foglia e continuate, senza fermare, ad inserire farina. Quando il composto avrà raggiungo una consistenza tale da iniziare a staccarsi dalle pareti, fermatevi e cambiate il gancio con quello ad uncino. Aumentate la velocità (mai molto sostenuta) ed inserite farina sino a raggiungere la consistenza desiderate. 

L'impasto perfetto deve essere elastica al punto da poter tornare subito alla forma originale, se esercitate una leggere pressione con l'indice sulla palla di impasto. 

Terminate sempre con un passaggio sulla spianatoia con poca farina (1), tolta dalla q.ta totale prevista inizialmente. Il legno/marmo donerà la porosità giusta alla pasta che vi aiuterà a "catturare" il condimento. Dopo di che, pellicola e frigo per riposare. Tempo: 1-3 ore.

Il riposo serve a far rilassare l'impasto ed a dar tempo alla maglia glutinica di formarsi. A che serve vi chiederete? Facile. Solo in questo modo, potrete sfogliare la vostra pasta sottilissssssssssssssssssssssima.

Nel frattempo preparate il sugo. Io vi consiglio di marinare la carne prima di cuocerla. In una ciotola, mettete la polpa di cinghiale tagliata a bocconcini molto piccolo e coprite con vino rosso leggero (stile romanella), qualche foglia di alloro e chiodi di garofalo. Potete ovviamente utilizzare gli aromi che preferite.

Dopo qualche ora (6-8), preparate il sugo (magari la sera prima), così avrà il tempo di insaporirsi. Scolate la carne dal vino e tamponatela con carta assorbente. In una pentola di coccio fate soffriggere in abbondante olio (nelle fraschette l'olio non fa difetto e per questo tipo di pasta non deve mancare) una cipolla tritata sottilmente. Una volta imbiondita, aggiungete il cinghiale e fate rosolare a fuoco vivace. Dopo di che, abbassate il fuoco al minimo, aggiungete la passata di pomodoro e fate cuocere al minimo per circa 3 ore. Il sugo, in questo tempo, si ridurrà, cuocendo e rendendo tenerissima la carne, ed, al contempo, assumendo il sapore, molto meno selvatico e sicuramente più delicato, del cinghiale. Dopo 3 ore, spegnete il fuoco e spostate la pentola dal fornello utilizzato, per evitare che il calore continui a cuocere eccessivamente il vostro sugo. Considerate che il coccio dissipa il calore in modo molto lento, quindi il sugo continuerà a cuocere per qualche minuto ancora dopo aver spento il fuoco.

Tornate alla pasta. Riprendete il vostro impasto, tagliatelo a fette spesse (2) e sfogliatelo, come da solita procedura, sino ad ottenere delle sfoglie omogenee (3). Per lo spessore è una vostra scelta. Se le volete più rustiche, lasciatele più spesse, in caso contrario ottenetele più sottili. Io, in questo caso, propendo per la seconda opzione.

Una volta che avrete dinanzi a voi tutte le sfoglie, cercate, il più possibile, di omogeneizzarle in lunghezza, tagliando le parti eccedenti.

Le pappardelle io le taglio a mano, quindi, spargete un filo di farina sulla sfoglia ed arrotolatela ottenendo un "rotolino" dell'altezza di 4 cm (4-5). Con un coltello, in modo deciso, fate dei tagli delle larghezza di 2 cm. Vedrete crearsi tra le vostre mani le pappardelle. Non fatene una malattia. Se vengono un pò diverse, essendo fatta in casa, è una caratteristica non un difetto.

Per evitare che la vostra pasta possa asciugarsi e rompersi, utilizzate uno stendino (6) per pasta; così da non avere sovrapposizione tra pappardelle. Ecco il mio, regalo del mio ammore.



Cuocete, per pochi minuti, le pappardelle in una capiente pentola di acqua salata (con un filo di olio); scolatela, conditela con il sugo, spolverate (se volete) di pecorino, impiattate e gustate.

Da bere? Non ve lo devo nemmeno dire: romanella.

Buon Appetito


1 commento:

  1. penso che me le magnerei tutte!! sono stupende Luca ma un po' troppo onerose per il contest.... ma con tanta gioia per i miei occhi ti perdono!
    Sandra

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